venerdì 14 dicembre 2012

C’ERA UNA VOLTA LA DEMOCRAZIA? [4 di 4]

(segue) Con l’ennesima (ipotesi di) discesa in campo di Silvio Berlusconi, la cronaca di questi giorni ci ha permesso di comprendere già abbastanza bene come si potrebbe delineare la campagna elettorale che, a questo punto, dovrebbe portare l’Italia al voto anticipato, nella seconda metà di febbraio (63). La scelta del PDL di non votare la fiducia al governo Monti, senza sfiduciarlo espressamente (64), in effetti, è stata un chiaro segnale di una precisa strategia politica: condurre una campagna elettorale anti-governativa e anti-europea, da giocare sull’ondata del malcontento popolare, radicatosi in quest’ultimo anno di stretta rigorista. Monti, ovviamente, lo ha capito subito e ha giocato d’anticipo, rassegnando le proprie dimissioni al Capo dello Stato (65), garantendo comunque tutto il proprio impegno per l’approvazione delle normative di bilancio, onde evitare che le conseguenze della crisi di governo possano essere “ancora più gravi”. Una scelta che, come dicevamo, è parsa a molti commentatori politici come il preludio di una vera e propria candidatura del tecnico bocconiano, che in questo modo dismetterebbe (finalmente!) i panni della figura al di sopra delle parti.

Ma prima di provare a tratteggiare il quadro del complesso scenario politico ― nella partita a scacchi tra i due leader conservatori, la più recente contromossa del Cavaliere si è tradotta in un pubblico annuncio di ritiro della sua candidatura, qualora Mario Monti sciogliesse la riserva, decidendo di prendere parte alla prossima competizione elettorale (66) ― che ci riservano questi due mesi circa di campagna elettorale, va sottolineato subito che nei giorni scorsi è accaduto esattamente ciò che un anno fa veniva dipinto come un’eventualità dall’esito tragico quasi certo: governo privo di uno stabile sostegno parlamentare maggioritario e, quindi, conseguente e imminente scioglimento anticipato delle camere, con Berlusconi che sembrava ormai pronto a lanciarsi in una campagna elettorale ultra-nazionalista, contro Monti e il complotto tedesco escogitato per farlo fuori (67) e altre enormità di questo genere.

Al momento, però, del paventato scenario di devastazione finanziaria non vi è traccia: qualche turbolenza in apertura di mercati a inizio settimana, ma niente di trascendentale (68), nonostante la concomitanza con le aste dei titoli pubblici nazionali, che, anzi, in realtà, hanno ottenuto risultati decisamente incoraggianti (69).

E tutto questo non dovrebbe sorprendere, semplicemente, perché rappresenta un’ulteriore conferma del ruolo decisivo che in materia ha avuto la strategia della BCE.

In proposito, ci sembra molto utile trascrivere per esteso la parte più significativa dell’ottima analisi di Davide Maria De Luca (70), uscita su Il Post di un paio di mesi fa:
«Il piano di Draghi si chiama Outright Monetary Transaction ed è un piano per acquistare una quantità non determinata in anticipo di titoli di stato, con una scadenza (“maturità”, con termine tecnico) da uno a tre anni, emessi da paesi in difficoltà. Gli acquisti avverranno: 1. sul mercato secondario; 2. saranno sottoposti ad alcune condizioni; 3. saranno sterilizzati. Ecco cosa significano queste condizioni, in parole semplici. Che cos’è il mercato secondario Il mercato secondario è quel “posto” dove i titoli di stato vengono scambiati giorno per giorno. I titoli arrivano sul mercato secondario dopo che sono stati venduti all’asta dai vari paesi emettitori. In altre parole, lo stato vende i suoi titoli durante un certo numero di aste nel corso di un anno. Chi compra i suoi titoli poi li può scambiare con altri privati tutti i giorni sul cosiddetto mercato secondario. Le quotazioni con le quali vengono scambiati i titoli sul mercato secondario influenzano direttamente i prezzi ai quali i nuovi titoli di stato saranno piazzati alle aste ufficiali dei vari paesi. Se la BCE avesse deciso di intervenire sul mercato primario, cioè alle aste in cui i governi offrono i loro titoli al mercato (una cosa che per statuto non può fare) avrebbe finanziato direttamente i governi in crisi. L’Italia, per esempio, avrebbe potuto emettere 100 titoli e la BCE, comprandone 50, avrebbe “stampato denaro” per finanziare il governo italiano. Agendo solo sul mercato secondario, invece, la BCE agisce quando oramai il titolo è già stato acquistato da un privato, non finanzia direttamente lo Stato, ma agisce calmierando (cioè mantenendo bassi) i prezzi dei titoli in modo che restino bassi anche in occasione delle aste ufficiali, permettendo così ai governi di finanziarsi sempre presso i privati, ma a un costo più basso. Quali saranno le condizioni Uno dei problemi principali di tutti i programmi di acquisto di titoli di stato di paesi in difficoltà, e di ogni altra forma di aiuto finanziario, è il cosiddetto “azzardo morale”, quel fenomeno per cui se chi ha commesso un errore (come spendere più soldi di quanti ne ha guadagnati) viene salvato si crea un incentivo a rifare lo stesso errore. Questo è il punto spesso sollevato dai tedeschi, che chiedono misure di austerità in cambio dell’aiuto proprio per evitare l’azzardo morale. Per questo motivo il piano di acquisto annunciato dalla BCE sarà condizionale, cioè la banca centrale proseguirà con i suoi acquisti di titoli di stato solo se il paese soddisferà determinate condizioni in materia di disciplina dei conti. Non è stato ancora specificato cosa e quando la BCE chiederà di fare per continuare l’acquisto. La decisione di iniziarlo o di sospenderlo sarà comunque presa autonomamente dal consiglio della BCE. Che cosa vuol dire “sterilizzati” Quando la BCE acquista dei titoli di stato deve creare del denaro per farlo (anche se raramente lo stampa fisicamente). Creare denaro, però, può causare inflazione in certe situazioni e il timore di un’inflazione fuori controllo è, insieme all’azzardo morale, uno dei principali timori dei tedeschi che siedono nel consiglio della BCE. Il modo con il quale si cerca di evitare l’inflazione quando la BCE fa degli acquisti si chiama sterilizzazione. Per sterilizzare un suo acquisto una banca centrale, semplicemente, riprende con la mano sinistra il denaro che sta distribuendo con la destra. Il metodo più utilizzato per farlo, e che verrà usato anche in occasione di questo programma, è quello di chiedere alle banche di aumentare la riserva di denaro che per legge tutte le banche hanno depositato presso la BCE (su questa riserva la BCE paga alle banche un interesse molto basso). L’incremento di questa riserva è più o meno corrispondente alla quantità di denaro creato per acquistare i bond. In questo modo gli aggregati monetari (cioè la quantità di moneta in circolo) non cambiano molto e l’inflazione dovrebbe venire evitata (anche se in proposito ci sono dei dubbi da parte di alcuni economisti)».
A questo punto, è del tutto evidente che la partita speculativa che si è svolta nei mesi scorsi non vedeva crescere i tassi di interesse dei nostri titoli del debito pubblico, per la sua entità: ovvero per l’entità del debito in valore assoluto e in rapporto al PIL nazionale. Questi valori, come è noto, sono particolarmente elevati già da diversi anni (71). Se l’anno scorso i titoli di debito italiano sono stati collocati con una certa difficoltà sul mercato, nonostante avessero raggiunto tassi di interesse vantaggiosissimi che si aggiravano intorno al 7% (72), la ragione principale era la prospettiva dell’investitore di ritrovarsi non tanto con un titolo non esigibile in portafoglio, quanto piuttosto con un titolo che rischiava di valere molto meno nell’eventualità (a quel tempo) non remota che l’Italia dovesse uscire dall’euro, ritrovandosi in breve tempo con una diversa moneta nazionale considerevolmente svalutata.

Quando quest’estate Mario Draghi dà l’annuncio che l’euro è da considerare “irreversibile” (73) e poi vara per la tenuta dell’unione monetaria quei meccanismi che abbiamo analizzato poc’anzi, è evidente che il rischio uscita dall’euro diventa, nella sostanza, pressoché inesistente e se residua ancora un margine per le attività speculative sui titoli di debito nazionali, ciò è dovuto proprio alla struttura del meccanismo escogitato dalla BCE. Un meccanismo che, per assicurare l’uniformità della politica monetaria, prevedesse l’acquisto automatico dei titoli, in presenza di determinate fluttuazioni negli spread, di fatto, azzererebbe i margini di manovra speculativa. Il meccanismo dell’OMT, invece, prevedendo la richiesta dello Stato membro e una trattativa per il rispetto delle condizionalità suddette (74), lascia aperto un certo margine di manovra agli speculatori, stante l’ovvia riottosità di qualunque Stato democratico a sottoporsi a programmi pluriennali di politica economica dettati da organismi internazionali che non rispondono a nient’altro che alla propria coscienza e alle proprie convinzioni.

Dovrebbe essere, quindi, ancor più chiaro il nostro ripetuto caveat sui limiti di una moneta unica senza uno Stato unico e con una Banca centrale che non può fare da prestatore di ultima istanza, ma deve ricorrere, per calmierare i tassi di interesse, a complessi meccanismi come quello della transazione monetaria diretta, fin qui analizzato.

Ma se qualcuno conservasse delle perplessità residue, in proposito, forse, può essere risolutivo questo interessante passaggio di un articolo di Domenico Moro, uscito in piena estate su Pubblico (75):
«L’attuale debito pubblico italiano si formò tra gli anni ’80 e ’90, passando dal 57,7% sul PIL nel 1980 al 124,3% nel 1994. Tale crescita, molto più consistente di quella degli altri Paesi europei, non fu dovuta ad una impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media della UE e dell’eurozona e, tra 1991 e 2005, sempre al di sotto di quella tedesca. Nel 1984 l’Italia spendeva ― al netto degli interessi sul debito ― il 42,1% del PIL, che nel 1994 era aumentato appena al 42,9%. Nello stesso periodo la media Ue (esclusa l’Italia) passò dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona passò dal 46,7% al 47,7%. Da dove derivava allora la maggiore crescita del debito italiano? Dalla spesa per interessi sul debito pubblico, che fu sempre molto più alta di quella degli altri Paesi. La spesa per interessi crebbe in Italia dall’8% del PIL nel 1984 all’11,4%, livello di gran lunga maggiore del resto d’Europa. Sempre nello stesso periodo la media UE passò dal 4,1% al 4,4% e quella dell’eurozona dal 3,5% al 4,4%. Nel 1993 il divario tra i tassi d’interesse fu addirittura triplo, il 13% in Italia contro il 4,4% della zona euro e il 4,3% della UE. La crescita dei debiti pubblici dipende da molte cause, soprattutto dalla necessità di sostenere le crisi e la caduta dei profitti privati che, dal ’74-75, caratterizzano ciclicamente i Paesi più avanzati. Tuttavia, è evidente che politiche sbagliate di finanza pubblica possono rendere ingestibile la situazione del debito, come è avvenuto in Italia. Visto che l’entità dei tassi d’interesse sui titoli di stato, ovvero quanto lo Stato paga per avere un prestito, dipende dalla domanda dei titoli stessi, l’eliminazione di una componente importante della domanda, quale è la Banca centrale, ha avuto l’effetto di far schizzare verso l’alto gli interessi e, quindi, di far esplodere il debito totale. Inoltre, la mancanza del cordone protettivo della Banca d’Italia espose il nostro debito alle manovre speculative degli investitori internazionali».
Questi numeri, da un lato smentiscono la vulgata propagandistica anti-Welfare nota come “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” (76) o nel “mondo di favola”, per dirla come Draghi, ma dall’altro testimoniano, al di là di ogni ragionevole dubbio, quanto possa essere fuori dalla realtà la propaganda berlusconiana di ritorno, che ha dato un primo assaggio di una eventuale (ed ennesima) campagna elettorale col vecchio premier ancora in prima linea, proprio all’inizio di questa settimana: lo spread sarebbe un imbroglio, perché ― secondo il grande statista di Arcore ― non importa nulla di quanti interessi si pagano sul debito pubblico (77).

E in uno scenario politico in cui la destra italiana non riesce ancora a prendere definitivamente le distanze da un leader imbolsito e incattivito, che non solo non gode più dello straordinario consenso di una volta, ma che non può nemmeno più contare del fido asse con la Lega Nord (78), una sinistra degna di questo nome potrebbe condurre in porto una campagna elettorale vincente, con estrema facilità, se solo riuscisse a riconnettersi col proprio popolo e avesse il coraggio di sposare e difendere la causa della classe lavoratrice, dalle politiche di spoliazione messe in campo dalla classe dominante.

Sul punto, c’è un passaggio molto incisivo del testo di Gallino citato in apertura di discorso. Vale la pena di leggerlo con estrema attenzione, perché dà la misura di quanto sia rilevante questa partita politica e di cos’è che contribuisce pesantemente a mettere in sofferenza i pubblici bilanci:
«Negli Stati Uniti, ad esempio, il presidente Bush all’inizio degli anni Duemila ha introdotto degli sgravi fiscali che hanno permesso al 5-10% delle famiglie con il reddito più alto di risparmiare ciascuna, in media, centinaia di migliaia di dollari di imposte l’anno, mentre per il restante 90%della popolazione il vantaggio fiscale si è aggirato intorno ai 1000 dollari o poco più. In Francia, il presidente Sarkozy ha ridotto notevolmente sia la tassa sulle successioni sia quella che si chiama l’imposta sulle grandi fortune. Anche qui, una porzione della popolazione compresa tra il 5 e il 10% ha goduto di sgravi che si sono aggirati in media sulle centinaia di migliaia di euro. A questo riguardo, nel 2010 è stato pubblicato un rapporto destinato all’Assemblea francese,prodotto da uno degli uffici interni dell’Assemblea stessa,in cui si notava che in dieci anni, dal 2000 al 2009, gli sgravi fiscali ― concessi in misura quasi totale soprattutto ai ricchi ― avevano comportato tra i 101 e i 120 miliardi di euro di mancate entrate. In dieci anni, questa somma colossale ha contribuito a svuotare le casse dello Stato e a rendere perciò indispensabili ― questa la conclusione del governo ― tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola, al personale della pubblica amministrazione. Ciò allo scopo di ridurre un onere per lo Stato che, così sostiene non solo il governo francese ma ogni governo di centro-destra e parecchi di centro-sinistra (vedi i casi di Grecia e Spagna),nella situazione attuale tutti debbono concorrere a ridurre. L’ironia delle cifre vuole che in Francia i suddetti tagli dovrebbero ammontare, secondo quanto ha dichiarato il primo ministro Francois Fillon ai primi di novembre 2011,a circa 100 miliardi…» (79).
E sia ben chiaro: quando si tagliano servizi pubblici essenziali come pensioni, sanità e istruzione, non si elimina alcuno “spreco” ma si mette semplicemente sul mercato una domanda considerevole di servizi ― quote tanto più elevate, quanto più a fondo si procede con l’opera di riduzione dei benefici erogati dal settore pubblico ― sui quali chi ha capitali da investire può lucrare ingenti profitti. Con il che la classe dominante ci guadagna due volte: con la riduzione della propria quota di contribuzione sul versante delle entrate pubbliche e con le occasioni di investimento. Sperando altresì che il riassorbimento, da parte del settore privato, delle quote di posti di lavoro tagliate nel pubblico, non lasci a casa troppi lavoratori, considerati superflui.

In un Paese, in cui l’Istat (80) certifica che (dati 2011) «il 28,4% delle persone residenti è a rischio povertà o esclusione sociale» ― rischio che è «in crescita di 2,6 punti percentuali rispetto al 2010» oltre ad essere «più elevato rispetto a quello medio europeo (24,2%), soprattutto per la componente della severa deprivazione (11,1% contro una media dell’8,8%)» ― e il Censis (81) ci dà la misura esatta di quali effetti produce questa lotta di classe condotta dall’alto verso il basso, dato che «la quota di famiglie con una ricchezza netta superiore a 500.000 euro (…) è praticamente raddoppiata, passando dal 6% al 12,5%, mentre la ricchezza del ceto medio (cioè le famiglie con un patrimonio, tra immobili e beni mobili, compreso tra 50.000 e 500.000 euro) è diminuita dal 66,4% al 48,3%», come è possibile che la sinistra non imposti la propria campagna elettorale e il proprio progetto di cambiamento del Paese proprio sulla risoluzione di queste disuguaglianze e di questi problemi?

Una sinistra che sappia parlare ai 3 milioni di disoccupati e agli altrettanti precari, nonché alle migliaia e migliaia di cassintegrati e di esodati e, assieme a loro, a tutto il mondo del lavoro in sofferenza pluriennale, per ricostruire, nel corso della prossima legislatura, un tessuto produttivo in crisi permanente, anche attraverso un oculato intervento del settore statale nell’economia. Una sinistra che vari un programma pubblico di assunzioni e stabilizzazioni nei comparti giustizia, sanità e istruzione. Una sinistra che punti ad avere le eccellenze nel settore pubblico, a cominciare dalla ricerca scientifica, in modo tale da essere anche un punto di riferimento e uno stimolo competitivo per gli omologhi settori privati di competenza. Una sinistra che introduca finalmente anche in Italia come quasi ovunque nel resto d’Europa una forma di sussidio universale per la disoccupazione involontaria (si chiami o meno “reddito minimo garantito” (82), è la sostanza dell’intervento normativo quello che conta). Una sinistra che si impegni strenuamente per recuperare le risorse necessarie per queste voci di spesa, azzerando i 60 miliardi di costi della corruzione nel settore pubblico e abbattendo l’enorme mole dell’imponibile evaso (83), chiedendo, per tutto quello che manca, il contributo ― anche temporaneo ― dei ceti che negli ultimi decenni hanno solo accumulato ricchezze, sovente portandole pochi chilometri oltre frontiera (84).

Una sinistra che voglia impegnarsi seriamente su questo modello di cambiamento, insomma, come può mai pensare che nel perseguimento di questi obiettivi, Mario Monti ― in questi giorni perfettamente a suo agio a colloquio coi conservatori del PPE, che non gli hanno fatto mancare pubblici attestati di stima (85) ― rappresenti una risorsa e non un ostacolo?

Quando Bersani afferma (86) che Monti, per lui, deve «continuare ad avere un ruolo per il nostro Paese» (“il giorno dopo le elezioni, se toccasse a me, il primo colloquio vorrei farlo con Monti per ragionare assieme. Non posso dargli io la destinazione d’uso”), è mai possibile che abbia già dimenticato che lui stesso ha affermato per oltre un anno che il sostegno del PD al governo tecnico, non implicava piena adesione a tutti i provvedimenti votati? Cosa intende per “ruolo”, Bersani? Vuole proporlo come prossimo Presidente della Repubblica o vuole affidargli il ministero dell’economia? Se il ruolo fosse “di governo”, questo significa che la querelle alla base dell’alleanza con la sinistra di Vendola ― la continuità o la discontinuità con l’operato del governo Monti (87) ― è stata infine risolta, azzerando in partenza ogni speranza di rinnovamento nel senso del progresso sociale e dell’inversione delle politiche degli ultimi decenni?

Un Monti che, giusto un paio di settimane fa (88), metteva nel mirino il Servizio Sanitario Nazionale, iniziando a parlare di insostenibilità dei conti ― esattamente la stessa strategia attuata a suo tempo con le pensioni ― si muove evidentemente nel solco della continuità rispetto a quell’opera di progressivo smantellamento del Welfare State che qui abbiamo ripetutamente denunciato. E ciò al di là delle smentite di prammatica, fatte per smorzare il tono delle inevitabili polemiche che ne sono conseguite.

Davvero la sinistra italiana non si ritiene all’altezza di poter far valere, autonomamente, le proprie ragioni in Europa, senza coinvolgere direttamente Mario Monti nella prossima legislatura?

O il Partito Democratico, più che con la sinistra (italiana ed europea), si sente ormai in linea con il Partito Popolare Europeo? È questa la convergenza post-elettorale del campo progressista coi liberali europeisti di cui parla la Carta di intenti (89) dell’alleanza tra PD e SEL, con la partecipazione testimoniale del micropartito socialista italiano?

Se nel 2013 entrasse effettivamente in vigore il cosiddetto fiscal compact (90), il PD come vorrà conseguirlo l’obiettivo della riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL al 60% (in Italia, quindi, del suo dimezzamento)? Svendendo il patrimonio del demanio pubblico o facendo pagare finalmente le tasse (anche) a tutti gli evasori, secondo criteri molto progressivi?

Non si può mettere in discussione nulla degli attuali assetti comunitari? Essere europeisti significa azzerare il dibattito politico e aderire ad un qualche modello di pensiero unico?

Si potrà ragionevolmente sottolineare, ad esempio, che fissare un arco temporale predefinito e immutabile per allineare diversi debiti sovrani a un tetto predeterminato, di fatto, mette gli Stati più indebitati in una condizione di difficoltà enorme? E, per tutto quello che abbiamo visto nelle righe precedenti, con che coraggio si può pretendere che si proceda con tagli della spesa pubblica, anche in presenza di fasi recessive dell’economia?

Ci si potrà battere per modificare l’operato della BCE, facendo sì che questa possa anche finanziare direttamente gli Stati, stampando moneta, pur muovendosi nell’ottica di una politica ispirata, tendenzialmente, al contenimento dell’inflazione? O bisogna permettere alla Banca centrale di mantenere l’attuale potere di orientare le politiche nazionali, ogni volta, che si rende necessario un suo intervento calmierante nel senso della OMT, come l’abbiamo opportunamente analizzata poc’anzi?

Interrogativi, questi, che ― in ultima analisi ― rispondono tutti a una non più eludibile domanda di fondo: esiste ancora un principio democratico nella nostra civiltà europea? Perché se c’è un elemento che più di ogni altro caratterizza un sistema democratico è proprio questo: la concreta ed effettiva possibilità di scegliere, di volta in volta, col consenso maggioritario, tra almeno due opzioni politiche alternative e differenti.

E la cosa più inquietante, in tutto questo, è che proprio nel momento in cui la destra partitica ― che in Italia governa dal 2001, se si esclude la breve e controversa parentesi del biennio del Prodi bis ― è debole e frammentata come mai era accaduto nel corso della seconda Repubblica, il PD, il grande partito di centrosinistra, forse, l’unico partito italiano di massa, ora come ora, decide di stringere una sola alleanza numericamente significativa con altre forze politiche di area (stante l’inconsistenza dei socialisti, quella con SEL, ovviamente) e invece di cavalcare l’onda del relativo successo delle primarie, provando a offrire all’intero e frammentato universo del lavoro subordinato una speranza di riscatto e di cambiamento, continua a guardare a Monti e al suo gruppo sociale di riferimento, come perno centrale per la definizione dell’immediato futuro di questo Paese.

Dunque, al momento, lo scenario elettorale è il seguente: si voterà anticipatamente, tra un paio di mesi, con la tanto vituperata legge elettorale ― la 270/2005 (91) ― che il suo stesso autore ebbe a definire, a suo tempo, esattamente nei termini di una “porcata”. Di conseguenza, non solo si ignorerà «l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici della legislazione prevista nel 2005, con particolare riguardo all’attribuzione di un premio di maggioranza, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica, senza che sia raggiunta una soglia minima di voti e/o di seggi», sottolineata a suo tempo dalla Corte costituzionale, ma probabilmente si verificherà, ancora una volta, una situazione simile a quella che impedì al secondo governo Prodi di chiudere la legislatura del 2006. Se, infatti, la coalizione ristretta voluta dal PD dovesse confermare i risultati (anche i più rosei) fin qui sondati, c’è il rischio concreto di avere una maggioranza di governo solamente alla Camera, grazie al surplus di seggi che viene assegnato a chiunque prenda un voto in più delle liste concorrenti. Ma poiché il meccanismo dei premi di maggioranza, al Senato, prevede un’assegnazione su base regionale, lì ― dove, tra l’altro, le soglie di sbarramento sono irragionevolmente più alte ― è assai probabile che il PD con SEL (come già l’Unione di Prodi, con numeri ben più consistenti) non riesca ad avere una maggioranza nemmeno risicata.

A questo punto, l’apertura a destra è quasi inevitabile: tutt’al più resta da capire se ci si potrà appoggiare a una rappresentanza parlamentare montiana (o centrista, se lo si preferisce) o se, nel caso di presentazione con lista autonoma dai berlusconiani, i sostenitori di Monti rischino addirittura di non eleggere senatori, rendendo così determinante, per la formazione del prossimo governo, proprio l’apporto di voti del partito di Berlusconi, qualunque sarà il suo nome.

Fuori da una vittoria netta della coalizione tra PD e SEL, infatti, uno spazio concreto e sicuro per eventuali alleanze post-voto che non comportino uno slittamento a destra della lista guidata da Bersani, allo stato attuale delle cose, non pare esserci.

Salvo crolli di consenso, conseguenti a una serie di brutti scivoloni che prolunghino quelli già fin qui registrati, il M5S dovrebbe riuscire in ogni caso a eleggere la sua rappresentanza parlamentare. Rappresentanza che, però, non farà alleanze con nessun’altra forza politica. E, al di là di qualunque ― a nostro avviso del tutto legittima ― riserva che si possa avere sui metodi padronali e autoritari (93) con cui Grillo sta gestendo il partito (tra l’altro, in aperta contraddizione coi suoi stessi principi ispiratori), va detto che l’episodio negativo politicamente più rilevante è stato il clamoroso insuccesso delle consultazioni online con cui il Movimento ha selezionato i propri candidati. Qui c’è poco da controbattere al dato numerico: se un movimento politico che si batte per promuovere la democrazia diretta da realizzare per mezzo di internet, alla prima consultazione con questo metodo riesce a coinvolgere poche decine di migliaia di elettori (94) su un corpo elettorale di oltre 50 milioni, il fallimento è in re ipsa.

Resta allora una sola remota possibilità al centrosinistra bersaniano per non dover chiedere i voti a destra, nel caso in cui gli elettori non gli concedessero direttamente una netta maggioranza. La possibilità sarebbe quella di un imprevisto successo del progetto che si va concretizzando attorno allo slogan “cambiare si può” (95): una coalizione di persone, movimenti e partiti “di sinistra” che si propongono di dare delle risposte assai più nette, di quelle fornite dal centrosinistra, ai tanti interrogativi che abbiamo precedentemente elencato.

Il potenziale bacino elettorale non è irrilevante: anche contando solo i voti dei partiti che negli scorsi anni incalzavano “da sinistra” il PD, si dovrebbe oscillare tra i 3 e i 4 milioni di potenziali elettori. Voti che, in percentuale, sarebbero tanto più pesanti, quanto più alta dovesse essere l’astensione. Per fare un esempio puramente indicativo, usando come riferimento i risultati delle ultime elezioni europee (96), se questa ipotetica lista unitaria “cambiare si può” riuscisse a intercettare il voto di tutto l’elettorato post-comunista e di quello dell’Italia dei Valori, a parità di votanti (con un’astensione del 35%, quindi), si registrerebbe un risultato più che soddisfacente: 4,5 milioni di voti, pari al 14,5%. La lista unitaria delle sinistre per il cambiamento eleggerebbe così i propri rappresentanti in entrambe le camere, offrendo all’alleanza tra PD e SEL una possibile sponda per connotare il futuro governo di un profilo più smaccatamente progressista.

Inutile dire che se è vero che, potenzialmente, il bacino elettorale di riferimento potrebbe essere infinitamente più consistente ― basti pensare ai 27 milioni di sì che nel 2011 hanno abrogato quattro leggi del governo Berlusconi (97), ridando vitalità all’istituto referendario dopo ripetuti fallimenti per carenza di partecipazione al voto ― il limite oggettivo di questa proposta politica sta tutto nel fattore tempo. A due mesi dal voto, ci sono tante idee interessanti dal punto di vista dei contenuti, ma non c’è ancora un programma vero e proprio e una decisione definitiva su nome, simbolo, candidature e ― dettaglio decisivo ― raccordo operativo coi partiti interessati già esistenti: se infatti la tattica di formare una coalizione di soggetti politici, unendo PdRC, IDV, Verdi a una (98) o più liste dei movimenti, ha l’indubbio vantaggio di minimizzare il rischio della poca riconoscibilità del nuovo nome e del nuovo simbolo, qualora si optasse per una sola lista unitaria; in negativo, questa tattica si connota per il correlativo doppio svantaggio di disperdere l’effetto novità, oltre a comportare la necessità di dover superare soglie di sbarramento più alte sia alla Camera che al Senato (dove addirittura la soglia per la coalizione diventa un proibitivo 20%).

Su queste basi, le speranze di chi immagina una terza Repubblica, fondata sull’eguaglianza, in cui, finalmente, per la prima volta dal 1948 ad oggi, il governo metta per (almeno) cinque anni gli interessi del lavoro al primo posto, sono appese ad un filo assai sottile. Un filo che, purtroppo, potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.

Un’altra Europa e un altro mondo non sono impossibili. Ma per cambiare democraticamente, in meglio, il più delle volte, non basta la sola buona volontà.

Giuseppe D'Elia

 per L'Indiependente.it    
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(63) http://it.reuters.com/article/topNews/idITMIE8B904B20121210

(64) http://www.tmnews.it/web/sezioni/top10/20121207_073920.shtml

(65) http://www.corriere.it/politica/12_dicembre_08/monti-pronto-alle-dimissioni_31153baa-4177-11e2-b1cb-f72c456506f7.shtml

(66) http://pubblicogiornale.it/politica/berlusconi-passo-indietro-monti-moderati/

(67) http://m.friendfeed-media.com/f4447000a25fc117c46017aff394f3e43ed11356

(68) http://finanza-mercati.ilsole24ore.com/azioni/analisi-e-news/tutte-le-news/news-radiocor/news-radiocor.php?PNAC=nRC_11.12.2012_11.10_15020883

(69) http://www.repubblica.it/economia/finanza/2012/12/12/news/spread_apertura_stabile_a_341_punti-48571901/ + http://borsaitaliana.it.reuters.com/article/businessNews/idITMIE8BC00120121213?sp=true

(70) http://www.ilpost.it/2012/09/08/e-quindi-e-finita-la-crisi/

(71) http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/_link_rapidi/debito_pubblico.html

(72) http://www.repubblica.it/economia/finanza/2011/11/15/news/vola_lo_spread_con_i_btp_al_6_8

(73) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-07-21/draghi-euro-irreversibile-unione-121523.shtml?uuid=AbUMuVBG

(74) http://www.forexinfo.it/OMT-cos-e-e-come-funziona-il-piano

(75) http://keynesblog.com/2012/08/31/le-vere-cause-del-debito-pubblico-italiano/

(76) https://www.google.it/search?client=ubuntu&channel=fs&q=%22abbiamo+vissuto+al+di+sopra+delle+nostre+possibilit%C3%A0%22

(77) http://www.youtube.com/watch?v=cQJSMgBDALc&t=0m27s

(78) http://www.repubblica.it/politica/2012/12/12/news/ultimatum_maroni_a_berlusconi

(79) http://m.friendfeed-media.com/5891a96a0417b4eaf673f01268a292381782894b

(80) http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/economia/2012/12/10/Crisi-Istat-oltre-quarto-italiani-rischio-poverta-_7931084.html

(81) http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201212071004-ipp-rt10041-censis_redditi_come_20_anni_fa_si_vendono_gioielli_famiglia

(82) http://www.redditogarantito.it/#!/home

(83) http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/15/i-trecento-miliardi-che-lo-stato-non-vuole-mafiosi-corrotti-ed-evasori-ringraziano/151628/

(84) http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2012-11-21/grilli-frena-patto-rubik-064024.shtml?uuid=Ab0ZYx4G

(85) http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/13/monti-a-sorpresa-al-vertice-ppe-faccia-a-faccia-con-berlusconi-e-merkel/445112/

(86) http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/13/bersani-dopo-voto-apro-al-centro-monti-deve-avere-ruolo-se-vinco/444880/

(87) http://www.unita.it/notizie-flash/pd-vendola-vogliamo-che-sia-in-discontinuita-con-monti-1.431490

(88) http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2012/11/27/Monti-rischio-Ssn-_7863855.html

(89) http://www.partitodemocratico.it/doc/240622/3-europa.htm

(90) http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_bilancio_europeo

(91) http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Calderoli

(92) http://www.lastampa.it/2012/12/12/italia/politica/grillo-espelle-salsi-e-favia-KWXsGkNIkpZbcWfSyX9HUK/pagina.html

(93) https://www.youtube.com/watch?v=yGEYlSgrwaw&t=0m09s

(94) http://www.beppegrillo.it/2012/12/i_risultati_delle_parlamentarie/index.html

(95) http://friendfeed.com/seideegiapulp/3703c40c/cambiaresipuo-qualcosa-di-sinistra-un

(96) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=E&dtel=07/06/2009&tpa=Y&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(97) http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_2011_in_Italia

(98) http://www.movimentoarancione.com/